Disturbi di personalità
Il termine personalità deriva dal latino persona, cioè “maschera”. Si tratta della maschera indossata dagli attori che, interpretando i loro personaggi in grandi anfiteatri e dovendo farsi sentire da tutto il pubblico, parlavano da una piccola apertura a imbuto attraverso (per) la quale potevano diffondere meglio il suono (sona) della propria voce. Etimologicamente, dunque, la personalità sarebbe un’amplificazione delle caratteristiche individuali del personaggio rappresentato dall’attore, in modo che il pubblico sapesse quali atteggiamenti e comportamenti aspettarsi da lui. Nel tardo stoicismo il termine persona passa a qualificare l’individuo umano in quanto avente un ruolo nel mondo, assegnatogli dal destino. Con il tempo, il concetto di personalità ha perso la sua connotazione di apparenza per rappresentare non più tanto la maschera, quanto la persona reale con le sue profonde caratteristiche. In generale, oggi, con il termine personalità, si indica una «modalità strutturata di pensiero, sentimento e comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori temperamentali, dello sviluppo e dell’esperienza sociale» (WHO, 1992).
La visione odierna: il DSM-IV-TR
Ad oggi, il DSM-IV-TR – Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4th Edition, Text Revision (2000), dell’American Psychiatric Association, definisce i tratti della personalità come: «modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali. Soltanto quando tali tratti sono rigidi e non adattivi e causano una significativa compromissione del funzionamento sociale o lavorativo, oppure una sofferenza soggettiva, essi costituiscono Disturbi di Personalità». Ancora, secondo il DSM-IV-TR, un disturbo di personalità «rappresenta un modello di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo, è pervasivo e inflessibile, esordisce nell’adolescenza o nella prima età adulta, è stabile nel tempo, e determina disagio o menomazione».
I disturbi di personalità sono raccolti in tre gruppi in base ad analogie descrittive:
Cluster A – bizzarro-eccentrico: include i disturbi di personalità Paranoide, Schizoide e Schizotipico, caratterizzati da pensieri e comportamenti inusuali e dall’incapacità di stabilire relazioni interpersonali soddisfacenti.
Cluster B – impulsivo o drammatico-emotivo: include i disturbi di personalità Antisociale, Borderline, Istrionico e Narcisistico, caratterizzati da marcata emotività e imprevedibilità. Questi disturbi sono considerati da Kernberg (1975) come parte integrante di una più ampia entità nosografica definita “Organizzazione Borderline di Personalità” (OBP). In questo senso, il termine borderline è utilizzato per indicare una modalità di funzionamento caratterizzata da una spiccata difficoltà di controllo degli impulsi e dell’emotività che, con differenti sfumature, è presente in tutti i disturbi del cluster B.
Cluster C – inibito o ansioso-evitante: include i disturbi di personalità Evitante, Dipendente, e Ossessivo-Compulsivo, caratterizzati da tratti associati all’ansia, che interferiscono con la capacità di lavorare o con quella di sviluppare relazioni intime. Lo stato mentale di un soggetto appartenente a questo cluster è dominato da ansia, tensione costante, affettività disforica, preoccupazione di essere accettato dagli altri e ipercontrollo comunicativo. Queste persone hanno maggiore capacità di insight riguardo al proprio comportamento, rispetto ai pazienti di cluster B o A.
Questo sistema di raggruppamento, sebbene utile in alcune situazioni di ricerca e didattiche, presenta tuttavia serie limitazioni; inoltre, gli individui frequentemente presentano una concomitanza di disturbi di personalità appartenenti a gruppi diversi. Questo porta ad affermare che le tradizionali categorie diagnostiche abbiano un valore limitato nella pianificazione del trattamento, poiché non colgono la complessità o l’intero range di psicopatologia necessario per definire un programma di intervento (Dimaggio e Lysaker, 2010). Essi sono costrutti globali che forniscono solo indicazioni generali di trattamento con scarsa validità nel selezionare interventi specifici poiché la maggior parte degli interventi sono finalizzati a risolvere comportamenti specifici come i gesti autolesivi, la vulnerabilità emotiva, e l’impulsività. Un problema aggiuntivo, riscontrato nei casi complessi, è che i clinici di solito diagnosticano un solo disturbo di personalità e trascurano gli altri disturbi di personalità eventualmente presenti. A tal proposito, una strategia promettente potrebbe essere quella di affrontare i meccanismi patologici e disfunzionali sottostanti la sintomatologia presentata da ciascun paziente, definendo così un intervento tagliato su misura per quel determinato individuo: lavorare sulle aree di vulnerabilità sottostanti consente, infatti, di affrontare lo stesso comportamento in differenti disturbi.
Disturbi di personalità e uso di sostanze
Il complesso rapporto tra personalità e uso di sostanze continua a stimolare l’interesse di clinici e ricercatori che oggigiorno condividono l’ipotesi di una costante reciprocità dell’interazione tra i disturbi espressa in una varietà di manifestazioni psicopatologiche.
È noto che la presenza di disturbi di personalità e di altri disturbi psichiatrici sia un fattore di rischio e influenzi l’esordio, il decorso clinico, la prognosi, la motivazione e la risposta al trattamento di soggetti tossicodipendenti e alcolisti. Allo stesso tempo, la presenza di un disturbo da uso di sostanze influenzerebbe notevolmente il manifestarsi di un disturbo di personalità: la condotta tossicomanica, infatti, incide profondamente sul funzionamento psichico e comportamentale dell’individuo, così da implicare importanti ripercussioni sulla personalità.
Sembra esserci una correlazione quindi tra la presenza di un disturbo di personalità e l’esordio delle condotte di abuso: da un lato, i soggetti che sviluppano un disturbo di personalità manifestano, durante l’adolescenza, problemi che possono favorire il contatto con le sostanze; dall’altro, l’uso precoce di sostanze genererebbe difficoltà di integrazione sociale e di funzionamento che possono sfociare successivamente nella diagnosi di un disturbo di personalità. Inoltre, aspetti psicopatologici frequentemente osservati nei tossicodipendenti quali impulsività, disregolazione affettiva, aggressività e ostilità possono essere inquadrati come effetti legati all’assunzione di sostanze o ai sintomi di astinenza ad essa associati, ma possono anche essere l’espressione di un tratto temperamentale o di personalità che agirebbe da precursore dell’uso problematico delle sostanze.
L’uso di sostanze nel cluster B
Tra tutti i disturbi di personalità, il cluster B è unanimemente riconosciuto come quello con la prevalenza più elevata in associazione all’uso di sostanze. Il disturbo antisociale, in particolare, è il più frequentemente osservato nei soggetti dipendenti da sostanze.
I tratti temperamentali di novelty-seeking (ricerca della novità ed evitamento attivo delle situazioni monotone) e sensation-seeking (attrazione verso esperienze e sensazioni nuove ed intense, che spinge ad una frequente ricerca di comportamenti trasgressivi, e che può sfociare in rischi sia fisici sia sociali pur di effettuare tali esperienze), che contraddistinguono le personalità antisociali, sembrano essere un fattore predittivo per le condotte sociopatiche e l’abuso di sostanze. I sensation seekers sembrano, infatti, essere più sensibili agli effetti rinforzanti delle sostanze d’abuso, sia nei confronti degli effetti psicostimolanti che di quelli neurodeprimenti (Cloninger, 1987; Zuckerman, 1988).
Inoltre, la presenza dei tratti high novelty-seeking e low harm-avoidance (con harm-avoidance si intende la tendenza a rispondere a segnali di pericolo potenziale attraverso un’inibizione del comportamento tesa ad evitarli) è stata correlata con un elevato rischio di comportamenti antisociali ed all’uso precoce di alcool (alcolismo di tipo II), tabacco ed altre sostanze.
Tra i soggetti affetti da disturbo borderline si ritrova comunemente una condotta d’abuso più esplosiva e il ricorso a sostanze illegali prevalentemente durante l’adolescenza e la prima età adulta (in cui prevalgono i tratti impulsivi e autolesivi) e un successivo cambiamento verso il ricorso ad alcolici o ansiolitici con scopo automedicante, soprattutto nei confronti di possibili vissuti depressivi o ansiosi.
Se i disturbi antisociale e borderline sono quelli maggiormente osservati e discussi in ambito clinico e in letteratura, una prevalenza comunque significativa spetta anche al disturbo narcisistico, con valori più bassi negli alcolisti e maggiori negli abusatori di cocaina, eroina e nei polydrug users (coloro che abusano di più sostanze contemporaneamente).
L’uso di sostanze nei cluster A e C
Per quanto riguarda i disturbi di personalità di cluster A e C, è possibile che la prevalenza dei soggetti con doppia diagnosi (ovvero diagnosticati con disturbo da uso di sostanze più, in questo caso, disturbo di personalità) sia sottostimata e meno indagata, probabilmente a seguito del fatto che tali soggetti giungono all’osservazione clinica meno frequentemente di quelli appartenenti al cluster B. Tipico del cluster C è il tratto di harm avoidance: è quindi probabile che le sostanze di abuso siano ansiolitiche e legali quali, comunemente, alcool e benzodiazepine.
In generale, sebbene nell’esperienza clinica odierna si riscontrino più frequentemente quadri di poliabuso di sostanze rispetto a qualche decennio fa, sembra che la scelta di una data sostanza psicoattiva non sia casuale ma indirizzata anche da specifiche caratteristiche psichiche.
Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association (2000) Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4th edn, Text Revision (DSM-IV-TR), Washington DC: APA Press. Trad. ital.: DSM-IV-TR, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, Milano: Masson, 2001
Caretti V., La Barbera D. (2005) Le dipendenze patologiche. Clinica e psicopatologia, Milano: Raffaello Cortina Editore
Cloninger C.R. (1987) A systematic method for clinical description and classification of personality variants, Archives of General Psychiatry, 44:573-588
Dimaggio G., Lysaker P.H. (a cura di) (2010) Metacognition and severe adult mental disorders: From basic research to treatment, London: Routledge
Kernberg O.F. (1975). Borderline Conditions and Pathological Narcissism, New York: Aronson (trad. it.: Sindromi marginali e narcisismo patologico, Torino: Boringhieri, 1978)
WHO (1992). The International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (10th revision), Geneva: World Health Organization
Zuckermann M. (1988). Sensation seeking, risk taking and health. In Janisse M.P. (a cura di), Individual Differences, Stress and Health, New York: Springer-Verlag, 72-88