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Psicofarmaci

Tra le sostanze destinate a un uso diverso rispetto a quello previsto dal ciclo produttivo ci sono anche, e forse potremmo dire soprattutto, gli psicofarmaci. Essi si collocano, in Italia, al terzo posto per spesa territoriale (dopo i farmaci dell’apparato cardio-vascolare e dell’apparato gastrointestinale e metabolismo) e al quarto per prescrizione con un andamento stabile rispetto al 2010 per quanto riguarda spesa e quantità prescritte.

Gli psicofarmaci sono una particolare classe di farmaci che agiscono, attraverso specifiche molecole chimiche e con diverse modalità, sul Sistema Nervoso Centrale (SNC). Fra essi, i più utilizzati sono gli ansiolitici e ipnoinducenti, gli antidepressivi, i neurolettici (o antipsicotici) e gli stabilizzatori dell’umore. Ogni gruppo comprende, a sua volta, molecole appartenenti a classi diverse, che possono essere utilizzate individualmente o in combinazione con altri composti, a seconda dei sintomi psicologici che hanno lo scopo di alleviare e/o reprimere.

La complessa azione di queste medicine è in grado di modificare temporaneamente in senso positivo l’intensità e la frequenza di sintomi quali, ad esempio, ansia, flessione o eccitazione dell’umore, nervosismo, paura, impulsività, ovvero ristabilire un equilibrio laddove un processo patologico ha prodotto un’alterazione. Numerosi studi hanno dimostrato che gli psicofarmaci non sono in grado di modificare sensibilmente comportamenti, pensieri ed emozioni in soggetti sani; tuttavia, molte persone tendono ad assumere questo tipo di medicinali sia per fini puramente ludici (per quanto non privi di seri rischi per la salute), sia per sedare eventuali crisi di astinenza – talvolta dovute all’uso di altre sostanze.

Psicofarmaci e uso di sostanze

Antidepressivi, ansiolitici e neurolettici sono tra gli psicofarmaci più ricercati da coloro che abusano di sostanze stupefacenti: i primi poiché possono dare una sensazione di aumento delle energie, di alterazione dei ritmi sonno-veglia e dello stato di eccitazione generale – proprio come le amfetamine; ansiolitici e neurolettici, invece, sono efficaci nella diminuzione dell’attività del SNC.

Gli ansiolitici, soprattutto quelli a base di barbiturici – ma anche quelli a base di benzodiazepine, possono dare inizialmente un leggero effetto euforico e disinibitorio paragonabile a quello dell’alcool o di alcuni tipi di amfetamine. Sono generalmente abusati al fine di ottenere una diminuzione dell’ansia e una visione meno pressante, angosciante e immediata dei propri problemi; essi intervengono anche sul normale livello di attenzione, sulla capacità di percepire i pericoli e di attivare le difese appropriate. Se assunti in combinazione con alcool, inoltre, provocano una sensazione di serenità e di beata passività – ma anche un forte effetto sedativo.

I neurolettici sono normalmente utilizzati nella patologie psicotiche e, in particolare, nelle psicosi schizofreniche, nelle psicosi organiche e nella fase maniacale del disturbo bipolare – ovvero in pazienti che mostrano sintomi simili a quelli provocati dal consumo eccessivo di cocaina e allucinogeni: deliri, allucinazioni, percezioni alterate della realtà, caratterizzate da un grave senso di isolamento e dall’impossibilità di condivisione con gli altri. Il loro misuse è legato alla volontà di far diminuire tali sintomi.

Nonostante siano farmaci che godono di grande popolarità e siano facilmente reperibili, spesso si dimentica la loro potenziale pericolosità, legata soprattutto ad un uso scorretto, e, di conseguenza, la necessità di usarli secondo precise prescrizioni.

Studi in ambito medico e tra gli injecting drug users hanno rilevato che la maggior parte dei morti per overdose da eroina ricorreva anche all’utilizzo di altre sostanze – come le benzodiazepine, che ne esaltano gli effetti ma ne aumentano anche la pericolosità. Il Roipnol (flunitrazepam), ad esempio, normalmente utilizzato per il trattamento a breve termine dell’insonnia, è largamente utilizzato dagli eroinomani per placare lo stato d’ansia e d’agitazione tipici dei periodi d’astinenza, o per controbilanciare gli effetti negativi. Tutti gli psicofarmaci, a seguito di un prolungato uso quotidiano, danno tolleranza, con la particolarità che quella agli effetti psicoattivi si sviluppa più rapidamente rispetto a quella verso gli effetti depressivi – tanto che il tentativo di riprodurre ed esaltare l’azione gratificante del composto può indurre ad ingerire una dose letale.

La dipendenza da psicofarmaci è accertata solo per alcune specifiche categorie (le benzodiazepine) e solo nel caso in cui l’assunzione avvenga in modo prolungato e senza il diretto controllo del medico. Tuttavia, come ogni farmaco, non sono privi di effetti collaterali, ma non è possibile fare un discorso generale; andrebbero considerati i singoli farmaci e indagati i possibili rischi e benefici.

 

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Riferimenti bibliografici

National Institute on Drug Abuse (2009) NIDA InfoFacts: Prescription and over-the-counter medications. Disponibile su: http://www.drugabuse.gov/Infofacts/PainMed.html

Petroni A. (2004) Droghe legali, Castelvecchi Editore

Gruppo di lavoro OsMed. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale gennaio-settembre 2011. Roma, dicembre 2011. Disponibile on line: http://www.iss.it/binary/pres/cont/Osmed_9_mesi_2011.pdf

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