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Dipendenze tecnologiche

In una società come quella odierna, in cui ci serviamo di strumenti tecnologici avanzatissimi per comunicare in maniera rapida – se non immediata, per essere agevolati negli spostamenti, per essere costantemente proiettati “al dopo”, potremmo dire di essere un po’ tutti “tecno-dipendenti”. In senso molto ampio, infatti, nessuno oggi può astenersi dall’utilizzare un qualche tipo di strumento e apparecchiatura tecnologica. La tecnologia attuale però si differenzia dalla precedente in quanto sta attuando una riconfigurazione sia del modo di vivere e delle abitudini quotidiane sia del modo di pensare, del gusto e della sensibilità, della percezione del tempo e dello spazio, del rapporto con la realtà, con la propria identità e con gli altri. È, infatti, in grado di creare mondi virtuali con una semplicità e una rapidità quasi sconvolgenti e di disegnare nuovi scenari in cui mente, sogno e realtà finiscono spesso col confondersi: offre, cioè, alla mente crescenti opportunità di interagire con realtà non materiali – almeno nel senso tradizionale del termine, e in una dimensione spazio-temporale artefatta.

L’interesse e la preoccupazione per l’uso delle nuove tecnologie rappresentano un fenomeno psicosociale tutt’altro che nuovo; oggi più che mai, però, bisogna prestare molta attenzione nel considerare la varietà di situazioni nelle quali il rapporto con i dispositivi tecnologici (computer, Internet, videogames, cellulare) determina la comparsa di condotte disfunzionali, additive o compulsive.

In particolare tra le giovani generazioni, il rischio che si corre è che l’oggetto tecnologico si tramuti in un fine, ovvero nello strumento d’elezione necessario per la realizzazione e l’espressione personale. In questo caso, la fonte di piacere e di gratificazione non è tanto il contenuto dell’esperienza tecno-mediata, bensì lo strumento stesso e il rapporto diretto con esso (in termini di investimento emotivo, tempo impiegato e funzioni attribuitegli): il telefonino o il computer, ad esempio, tendono ad essere desiderati e valorizzati come oggetti più di quanto non lo siano le esperienze di comunicazione e socializzazione che permettono di avere. Talvolta, infatti, il rapporto con lo strumento diventa preponderante nel determinare la qualità dell’esperienza, più che l’esperienza in se stessa.

In questo tipo di dipendenze, il mondo virtuale diventa un vero e proprio rifugio della mente (Steiner, 1993) con la funzione di creare una realtà interiore più favorevole di quella reale, attraverso l’allontanamento delle emozioni traumatiche e dei ricordi spiacevoli. Tuttavia, il suo utilizzo indiscriminato e compulsivo, nonostante si accompagni ad uno stato di temporaneo sollievo, diventa a lungo termine una modalità di isolamento, di compromissione delle relazioni sociali e della perdita di contatto con la realtà.
 
 
Riferimenti bibliografici

Caretti V., La Barbera D. (2010) Addiction. Aspetti biologici e di ricerca, Milano: Raffaello Cortina Editore

Caretti V., La Barbera D. (2005) Le dipendenze patologiche. Clinica e psicopatologia, Milano: Raffaello Cortina Editore

Steiner J. (1993) I rifugi della mente, trad. it. Torino: Bollati Boringhieri, 1996

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